Il Generale Alpino che amava i suoi soldati e la sua Bobbio.
(Scrive Pier Luigi Troglio il 12 maggio 2013)
Il Gen. Giuseppe Bellocchio, tessera della Sezione Alpini di Bobbio nr. 89146/1950, è nato a Bobbio 15/2/1889 ed è deceduto a Bobbio il 7/3/1966.
Prese parte alla 1^ guerra mondiale al comando di gloriosi battaglioni alpini e fu pluridecorato con la medaglia d'argento e bronzo al V.M.
Dal 1918 all'inizio della 2^ guerra mondiale fu sempre al comando come Capo di S.M. di Reggimenti Alpini.
Durante la 2^ guerra mondiale fu promosso Generale di Divisione al comando della zona militare di Alessandria.
Dal settembre 1943 all'aprile 1945, durante la lotta di liberazione, fu Ufficiale Generale al Comando Generale Corpo Volontari della Libertà e comandante della piazza militare di Milano.
Questa è la scheda anagrafica di un insigne figlio della città di Bobbio.
Per i più giovani quel nome non significa nulla, per chi ha qualche anno in più serve a rispolverare i ricordi di un periodo non tanto felice, quello della guerra.
Nel periodo delle tenebre la figura del gen. Bellocchio ha brillato per umanità, per modestia, ma soprattutto per un grande amore verso la sua gente.
E' stato un valoroso soldato. Con orgoglio portava l'inconfondibile cappello degli alpini sormontato da una penna bianca che solo i generali potevano portare.
Pluridecorato: medaglia d'argento, medaglia di bronzo, croce al merito. Per le sue capacità gli furono assegnati incarichi di grande prestigio.
Il re Zog d'Albania gli affidò il compito di ricostruire l'esercito del suo Paese.
Fu comandante del famoso 3° Reggimento Alpini.
Come esponente del Comitato di liberazione nazionale, comandò la "piazza" di Milano dove si trovò a collaborare con Parri, Mattei, Longo, Gasparotto e con il gen Cadorna.
Dire dell'uomo Bellocchio è facile, ma nel contempo la sua personalità sfugge agli schemi tradizionali. I luoghi comuni vogliono i militari, e a maggior ragione gli ufficiali, uomini duri, inflessibili, abituati solo al comando e ad essere ubbiditi. Se poi a queste caratteristiche vi si aggiunge l'imponenza fisica(e il gen. Bellocchio l'aveva), è quasi impossibile credere che le sue doti fossero la bontà, l'amore per il suo prossimo, l'umiltà.
Sopra ogni cosa amava i suoi alpini.
La nostra è stata una terra che ha prodotto alpini, eil generale amava i suoi conterranei e là dove era possibile evitava che andassero in zone di guerra ad alto rischio.
Il generale Orsini, anche lui generale degli Alpini, legatissimo a Bobbio, mi ha definito il generale Bellocchio "un truppeur", uomo della truppa.
(Nella foto il gen.Bellocchio è il 3° in alto a sinistra con un gruppo di alpini piacentini)
Amava vivere e frequentare i "bocia" e i "veci" piuttosto che le alte gerarchie militari. In privato era un uomo mite, generoso, si potrebbe dire timido: i riflettori della scena non facevano per lui.
Nel 1953 si presentò alle elezioni politiche nella lista del partito nazionale monarchico. Non fu eletto. Forse per Bobbio fu una delle tante occasioni perdute. Un popolo è grande grazie ai suoi figli che per la loro opera sia essa culturale che scientifica come in qualsiasi altro settore delle attività umane abbiano dato il loro costruttivo contributo.
Il gen. Bellocchio è un figlio della nostra terra. Ha voluto bene ai suoi concittadini, a molti ha salvato la vita, un uomo così non può essere dimenticato.
Sull'altopiano di Asiago le sue gesta sono ricordate con l'intitolazione di una località "I Piani Bellocchio".
La sua città gli ha intitolato una via, chi l'ha conosciuto deve ricordarlo.
In occasione della 65^ Festa Granda, l'Amministrazione Comunale e i Gruppi Alpini di Bobbio e Mezzano Scotti hanno posto davanti alla Sezione Alpini di Bobbio una lapide commemorativa in ricordo del Gen. Giuseppe Bellocchio medaglia d'argento e medaglia di bronzo al valor militare.
In occasione delle innumerevoli cerimonie che si tengono durante l'anno in commemorazione di avvenimenti della nostra storia, sarebbe buona cosa la visita alla tomba del gen. Bellocchio per deporvi un mazzo di fiori e dirgli "grazie, generale, di tutto il bene che hai fatto alla tua gente".
Dalla relazione di Romano Repetti A.N.P.I. in occasione dell'inaugurazione della sede dell'A.N.P.I. di Bobbio (9 luglio 2017)
(..scrive Repetti)
Il mio interesse storico sul generale bobbiese Giuseppe Bellocchio quale protagonista del movimento partigiano italiano fra il 1943 e 1945 è nato circa due anni fa quando l’ex partigiano Agostino Covati mi ha raccontato di essere andato, all’inizio del maggio ’45, cioè qualche giorno dopo la Liberazione, assieme al suo comandante di brigata Italo Londei, a trovare questo generale a Milano nella sede del Comando generale del Corpo volontari della Libertà. Covati ci narrerà poi l’episodio.
Il mio interesse si è tradotto poi in un lavoro di ricerca sul personaggio Bellocchio l’estate scorsa quando, parlando in questo municipio con il sindaco e con l’assessore Castelli del locale che poi inaugureremo come sede comune del Gruppo Alpini e della Sezione Anpi e della lapide a memoria di Bellocchio che sarebbe stata posta sul fronte del locale in occasione della Festa Granda degli alpini, mi sono state indicate due casse che contenevano documenti relativi alla vita del generale, pervenuti al Comune tramite i famigliari del comandante partigiano Italo Londei che li aveva ricevuti in consegna dagli eredi del generale.
Ho dato così il mio interesse e d’accordo con il sindaco ho provveduto a fare l’inventario del contenuto delle casse e a riordinare in faldoni i documenti. A su volta Giorgio Bertuzzi ha provveduto a fare una copia elettronica delle fotografie custodite nelle casse. Io e Giorgio, sempre d’accordo con gli amministratori comunali, siamo andati poi al Museo del Risorgimento di Milano a fare una copia elettronica dei due documenti originali che vi aveva depositato Londei, il Piano per l’insurrezione partigiana di Milano predisposto da un gruppo miltare presieduto da Bellocchio ed una relazione dello stesso sulla proprio attività partigiana dall’armistizio dell’8 settembre 1943 alla Liberazione. Sono andato poi alla ricerca di ogni altra possibile documentazione sulla vita e sulla attività di Giuseppe Bellocchio in pubblicazioni piacentine e nazionali, riscontrando che Italo Londei, oltre a depositarne i due documenti ricordati al Museo di Milano, aveva provveduto a far pubblicare con una sua presentazione la citata relazione nel 1991 sul numero 9 della rivista Studi piacentini dell’Isrec e la stessa relazione più il Piano insurrezionale nei numeri editi nel 2004/2006 della rivista Archivum Bobiense, con una accurata introduzione ed ampie note esplicative da parte del prof. Flavio Nuvolone, direttore della rivista.
In volumi sulla lotta di liberazione in campo nazionale ho trovato citazione sul ruolo svoltovi dal generale Bellocchio, in specifico nel libro di memorie “La riscossa” scritte nel 1948 dal suo successore nel Comando del CVL, generale Raffaele Cadorna, nel libro “Un popolo alla macchia” del comunsta Luigi Longo capo delle Brigate Garibaldi e più diffusamente nel volume di memorie “Cammina frut” di Americo Clochiatti, che, sebbene di origini friulane, fu nel dopoguerra segretario della federazione comunista di Piacenza ed eletto in provincia di Piacenza deputato per tre legislature.
Ho infine reperito presso l’editore Franco Angeli il volume “Il generale ed i politico” di Adolfo Scalpelli, dedicato specificatamente al Comando Piazza di Milano ricoperto da Bellocchio e quindi alla sua figura e attività, un libro edito nel 1985 ma che evidentemente non aveva suscitato interesse a Bobbio e a Piacenza perchè non è disponibile presso nessuna delle nostre biblioteche pubbliche, mentre era invece stato recuperato ed utilizzato nel 2004 dal prof. Nuvolone.
Mi sembra doveroso anche aggiungere che dobbiamo al ricercatore storico piacentino dott. Giorgio Fiori, nel corposo volume “Storia di Bobbio e delle famiglie bobbiesi”, la genealogia dei Bellocchio bobbiesi dal 1751 ai nostri tempi e la composizione della famiglia del generale. Giorgio Fiori è scomparso da poche settimane. D’estate passava le vacanze in una sua casa di Bobbio ed era conosciuto da molti di noi. Aveva certe spigolosità di carattere ma nel campo della genealogia e della storia delle antiche dinastie e famiglie piacentine era uno studioso senza eguali. Merita il ricordo e la riconoscenza anche dei bobbiesi.
Da Bobbio alla carriere nell’esercito Italiano.
Entro quindi nel merito della vita e dell’attività di Giuseppe Bellocchio. Il futuro generale era nato a Bobbio il 15 febbraio 1889.
(Famiglia del gen. Bellocchio)
Il padre Domenico svolgeva in questo comune un’attività commerciale, ed oltre alla casa di abitazione nell’attuale Contrada di Porta Nuova al n. 6, vi possedeva dei poderi agricoli dati in gestione a mezzadria. La madre, Costanza Bionda, proveniva invece da Ponte dell’Olio. Giuseppe ebbe un fratello e due sorelle. La sorella maggiore sposò nel 1906 un maggiore del genio, Ellenio Setti. Fu probabilmente per influenza di questo cognato che Giuseppe fu avviato nel 1910 alla carriera militare, seguito poi anche dal più giovane fratello Carlo che divenne ufficiale medico nella Marina militare. La sorella più giovane, Ida, a sua volta si maritò nel 1913 con un bobbiese emigrato negli Stati Uniti, Arturo Malugani, e andò a vivere a New York.
Alla morte del generale, a Bobbio, il 7 marzo 1966, a 77 anni d’età, a raccoglierne l’eredità materiale furono i nipoti figli delle due sorelle perchè gli altri parenti erano già tutti scomparsi e lui, che non si era mai spostato, non aveva lasciato figli.
Giuseppe, dopo gli studi medi superiori, affrontò la vita militare nel Corpo degli Alpini. Partecipò alla 1^ Guerra mondiale, vi raggiunse il grado di maggiore e dopo essere stato al comando di alcuni battaglioni alpini fu posto al comando dell’Ufficio operazioni della 7^ Divisione cecoslovacca, un corpo costituito da ex-militari dell’Impero austro-ungarico fatti prigionieri ma disponibili a combattere a fianco degli italiani per conseguire l’indipendenza del proprio paese da tale impero. Per i successi conseguiti dai reparti al suo comando Bellocchio fu decorato con una medaglia d’argento ed una di bronzo. Finita la 1^ Guerra mondiale fu ammesso al corso triennale 1920-’22 della Scuola di Guerra di Torino per la formazione degli ufficiali di stato maggiore, destinati alla direzione delle grandi unità, e successivamente fu promosso colonnello.
Fra il 1928 e 1931 fu inviato in Albania a svolgere il compito di addestratore delle truppe del re Ahmed Zogu, appena arrivato al potere con il sostegno dell’Italia.
(Ahmed Zogu - re di Albania)
Vi ricordo per inciso che successivamente, nell’aprile 1939, Mussolini mandò invece un corpo di spedizione italiano - 22.000 uomini con artiglierie e carri armati, due corazzate, 7 incrociatori e decine di altre navi, 7 stormi di aerei, un reggimento di paracadutisti - ad occupare quel povero paese dell’Albania, costringendo il re Zogu a rifugiatosi in Grecia. Quell’occupazione italiana dell’Albania, che precedette di 4 mesi l’invasione tedesca della Polonia, può essere considerata il prologo della 2^ guerra mondiale, la guerra che portò alla morte 50 milioni di uomini e produsse immani distruzioni.
Negli anni venti e trenta Bellocchio fu anche, sempre nell’ambito del Corpo Alpini, Capo di S.M in reggimenti, comandante di reggimento, e, nominato infine generale di brigata, Capo di S.M in una Divisione.
Allo scoppio della 2^ guerra mondiale, già abbastanza anziano, non fu inviato su un fronte di guerra ma svolse incarichi speciali in Italia e da ultimo, nominato generale di divisione nel 1941, ebbe l’incarico di comandante della Zona militare di Alessandria. Mella notte seguente l’8 settembre e quindi all’annuncio dell’armistizio fra l’Italia e gli alleati anglo-americani, anche la città di Alessandria fu investita da reparti dell’esercito tedesco con artiglierie e carri armati. Nella relazione che ho prima ricordato, Bellocchio ha scritto che nella sua Zona militare non stazionavano vere e proprie truppe da combattimento ma solo soldati di guardia alle infrastrutture, addetti ai depositi e reclute in addestramento praticamente prive di armi. Fu dato comunque l’ordine di rispondere con le armi agli aggressori e “vi furono alcuni morti e feriti dall’una e dall’altra parte”, ma infine i militari tedeschi assunsero il controllo delle caserme e delle altre strutture pubbliche della città, radunarono i soldati e gli ufficiali italiani in provvisori campi di concentramento per avviarli più avanti all’internamento in Germania. Il generale Bellocchio e altri ufficiali del Comando di Zona riuscirono invece a sfuggire alla cattura provvedendosi di abiti borghesi nella stessa sede del Comando e uscendone poi da una porta secondaria. Il giorno dopo, con l’aiuto di un maresciallo dei carabinieri, Bellocchio si rifugiò provvisoriamente in una fattoria della campagna di Alessandria.
Alla direzione militare del movimento partigiano a Milano
Verso la metà di quel mese di settembre 1943, ricostituto, per volontà e sotto la protezione hitleriana, il regime mussoliniano, anche Bellocchio fu avvicinato e sollecitato a rientrare nei ranghi militari del regime fascista di Salò ma rifiutò e fu fra i non molti generali del regio esercito italiano presenti l'8 settembre nelle regioni occupate dai tedeschi, che non solo rifiutarono di entrare al servizio di tale regime e quindi degli occupanti tedeschi, ma si unirono poi ai partigiani per contribuire a liberare l'Italia dal nazi-fascismo.
Ormai identificato come oppositore e ricercato - a lui non era facile camuffarsi dato il suo fisico caratteristico: l'alta statura, la corposità , la ruvida voce. Riparò inizialmente a Milano prendendo contatto con altri uffïciali che vi vivevano clandestinamente. Successivamente si spostò nell'Oltrepò pavese, ospite per brevi periodi di quattro diverse famiglie fra Stradella e Canneto Pavese. Fra la metà di gennaio e la fine di febbraio del 1944 visse presso una cugina per parte di madre, nella frazione Ceradello di Carpaneto Piacentino.
Saputo che la sua presenza era stata segnalata alle autorità nazi-fasciste piacentine rientrò a Milano, tenuto conto che in una grande città era forse più facile vivere in clandestinità e non essere vittima di spie. A Milano si inserì, così, organicamente nel gruppo miltare di resistenza al nazifascismo guidato dai generali Bortolo Zambon e Giuseppe Robolotti, in rapporti di collaborazione con il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia che si era nel frattempo costitutito e operava clandestinamente. Quei due generali il 25 maggio del 1944 furono però arrestati dalle milizie di Mussolini, Robolotti fu deportato nel campo di concentramento di Fossoli in provincia di Modena e lì fucilato, mentre Zambon riuscirà invece più avanti a salvarsi evadendo dalla prigione di San Vittore con l'aiuto di complicità interne.
Bellocchio, generale di Divisione, venne così ad essere l'uffïciale più alto in grado del gruppo militare milanese e quando ai primi di giugno gli esponenti dei diversi partiti politici antifascisti che componevano il CLN Alta Italia, al fine di dare una direzione unitaria alle diverse formazioni partigiane che si erano andate sviluppando nel Nord e centro Italia, decisero di dare forma al Corpo Volontari della Libertà e di nominarne il Comando Generale chiesero a lui di entrare a farne parte come esperto militare: Bellocchio vi assunse il nome partigiano di Giuseppe Comaschi.
Tale comando era composto da lui e da un rappresentante per ognuno dei cinque partiti antifascisti, il Partito d'azione, il Partito comunista, la Democrazia Cristiana, il Partito socialista e il Partito liberale, ma al suo interno operava un vertice di tre membri:
il generale Bellocchio appunto,
l'azionista Ferruccio Parri, che nel giugno del 1945 diventerà il primo Capo del governo dell'Italia liberata,
e Luigi Longo, vice segretario allora del Partito comunista e capo delle Brigate Garibaldi.
Bellocchio era di sentimenti monarchici, si può dire che era entrato nella Resistenza per fedeltà al giuramento fatto al re Vittorio Emanuele III. In concreto, rispetto ai diversi partiti antifascisti che fino da allora in qualche misura erano in concorrenza fra di loro e che anche nel movimento partigiano cercavano di rafforzare le rispettive posizioni, Bellocchio costituiva una figura indipendente e gli fu riconosciuto che si comportava con imparzialità nei confronti delle diverse componenti partitiche.
Naturalmente le funzioni svolte da quel Comando Generale del CVL non erano uguali a quelle del Comando supremo di un esercito, quel comando non era in condizione di pianificare la gran parte delle azioni militari contro i nemici e di esercitare una indiscutibile autorità di comando sulle diverse formazioni partigiane diffuse nel territorio italiano. In realtà ogni formazione partigiana decideva autonomamente le proprie azioni in relazioni alle condizioni locali, andando all'attacco delle forze e posizioni nazifasciste se intravvedeva possibilità di successo, o rispondendo agli attacchi di queste.
Inoltre il movimento partigiano rimaneva suddiviso in Brigate Garibaldi, sulle quali esercitava influenza il Partito comunista, in Brigate Giustizia e Libertà che facevano riferimento ad esponenti del Partito d'azione, nonchè in altri raggruppamenti, quali Le Fiamme Verdi e le brigate Matteotti. Il Comando Generale del CVL provvide però a suddividere il territorio italiano a presenza partigiana in Zone corrispondenti in larga misura alla province:la provincia di Piacenza, meno l'alta Val Trebbia e l'annessa Val d'Aveto, divenne ad esempio la XIII Zona partigiana.
Provvide poi a nominare, d'intesa con i CLN provinciali, i Comandanti di Zona:
Emilio Canzi ad esempio divenne comandate in capo della nostra XIII zona su nomina del Comando Generale del CVL. Tale comando gestiva poi un servizio informativo riguardante sia la consistenza e le azioni delle formazioni partigiane che la consistenza e presenza delle forze fasciste e tedesche, e provvedeva ad informare le formazioni partigiane dei movimenti e programmi di rastrellamento dei nazi-fascisti. Unitamente al CLN il Comando militare teneva i rapporti con le forze alleate anglo-americane e ne sollecitava i lanci aerei, di armi, munizioni ed altre forniture. Inoltre il Comando Generale del CVL forniva naturalmente orientamenti ed indicazioni alle formazioni partigiane sui comportamenti da tenere e in determnati momenti, quali i grandi rastrellamenti nazi-fascisti, cerava di coordinare le azioni di più Zone partigiane.
Il Comando, ricorda Bellocchio nella relazione che ho citata, teneva ogni settimana una riunione plenaria ed il suo vertice a tre oltre ad un'altra riunione o due. Per non farsi scoprire erano costretti periodicamente a cambiare sede di riunione e anche Bellocchio personalmente nella sua permanenza a Milano dal marzo 1944 all'aprile 1945 cambiò ben otto diverse case di abitazione, per un mese trovò rifugio presso l'Ospedale Niguarda.
Per fortuna esiteva anche a Milano una diffusa di solidarietà antifascista. Teniamo presente che se non si fosse unito alla Resistenza, Bellocchio, data la sua età , evrebbe potuto rirtirarsi a vivere senza rischi nella sua casa di Bobbio.
Durante quell'estate del 1944 crebbe la diffusione e la consistenza del movimento partigiano ed il suo contributo alla lotta non solo contro il regime fascista di Salò ma anche contro le forze militari tedesche di occupazione. Se ne accorsero anche i comandi dell'esercito anglo-americano e ne prese atto il legittimo governo italiano che, dopo la liberazione di Roma nel giugno del 1944, tornò ad insediarsi nella capitale d'Italia con la presidenza di Ivanoe Bonomi, mentre il re Vittorio Emanule III aveva ceduto la luogotenenza al figlio Umberto.
Alleati e governo italiano si dichiarano allora disponibili ad aiutare maggiormente il movimento partigiano, il primo con armi e munizioni, il secondo con una dotazioni di mezzi finanziari, a condizione di avere un uomo di loro fiducia al vertice del Comando generale del CVL. Per tale vertice designarono il generale Raffaele Cadorna, che proveniva dalla famosa dinastia militare dei Cadorna e che a capo della Divisione corazzata Ariete il 9 settembre 1943 aveva cercato di difendere Roma dall'occupazione tedesca.
(gen. Raffaele Cadorna)
Il CLN AI dopo varie discussioni accettò, il Cadorna venne paracadutato in Val Camonica ed il 6 settembre del 1944 s'insediò a capo del Comando Militare del CVL, sostituendovi il generale Bellocchio. Che non gradì l'operazione ma rimase a disposizione del movimento partigiano e accettò l'incarico di Capo del Comando Piazza di Milano.
Il Comando Piazza, in quella che era la capitale della Resistenza, aveva la responsabilità di dirigere o comunque coordinare le formazioni e le azioni dei partigiani a Milano e nella provincia e di predisporre il piano per l'insurrezione e la liberazione della città . Anche questo Comando, con al vertice Bellocchio, era composto da esponenti designanti da ognuno dei partiti politici antifascisti, esponenti che variarono nel tempo e ai quali facevano capo le diverse funzioni, quali vice-comandante, capo uffïcio operazioni, capo servizio informazioni, nonchè la funzione di commissario politico che fu sempre rivestita da esponenti comunisti.
Il Comando durante la sua vita, cioè fino alla fine dell'aprile 1945, potè successivamente avvalersi, in particolare per la predisposizione del Piano insurrezionale, anche del contributo di diversi ex ufficiali dell'esercito: Bellocchio nella sua relazione ne elenca nominativamente diciotto, fra cui diversi colonnelli. Gli aderenti attivi alla Resistenza nel settembre 1944 a Milano furono calcolati in 7.700 e in 3.700 quelli nel restante territorio della provincia, che comprendeva la Brianza, Monza e il lodigiano fino al confine con la provincia di Piacenza. Vennero calcolati complessivamente in quasi 30.000 nell'aprile del 1945, probabilmente esagerando, tenuto conto che molti partigiani dell'area milanese avevano raggiunto ed erano inseriti nelle formazione partigiane della montagna, compreso quelle piacentine.
Naturalmente le azioni partigiane a Milano e nel circondario erano diverse da quelle praticate in territori appenninici come quello nostro, anche se non meno rischiose. Consistevano in sabotaggi, nellla sottrazione di armi ai nemici, in attentati ed altri atti dimostrativi per intimorirli e renderli insicuri, realizzati in genere nelle ore notturne.
Gli aderenti alla Resistenza a Milano erano organizzati in parte nei GAP , (Gruppi di Azione Patriottica) costituiti ognuno da pochissimi membri che compivano le azioni più pericolose e vivevano in clandestinità , nelle cosiddette Brigate mobili e nelle SAP (Squadre di Azione Patriottica), queste a larga composizione, in maggioranza di operai che di giorno andavano regolarmente al lavoro nella propria fabbrica.
La funzione del Comando Piazza si realizzò in particolare nel suddividere l'organizzazione partigiana a Milano in nove Settori con i relativi comandi e con specifici compiti, nel dare loro direttive di azione, nel creare un sistema informativo e una rete di collegamento, nel tenere i rapporti con corpi ancora inseriti nell'organizzazione del regime di Salò ma disponibili a collaborare con la Resistenza in particolare al momento dell'insurrezione, vale a dire il Corpo della Guardia di Finanza, dei Vigili urbani e dei Vigili del Fuoco.
Il Comando Piazza provvide anche a ripartire e a far avere ai diversi raggruppamenti partigiani le risorse finanziarie che dal dicembre del 1944 furono forniti dal Governo di Roma al movimento tramite il CLN AI che le suddivideva fra i Comandi di Zona e i Comandi di Piazza, risorse che servivano, oltre che all'acquisto di armi, alla sopravvivenza dei partigiani che vivevano alla macchia, riducendo la necessità di ricorrere a requisizioni fra la popolazione civile. Compito, come ho detto, del Comando Piazza fu inoltre quello di predisporre il Piano insurrezionale della città di Milano, di cui, per merito di Bellocchio e di Londei, si dispone tutt'ora di una copia originale depositata al Museo del Risorgimento di Milano. La stesura ultima del piano consiste in 45 pagine dattiloscritte più una grande pianta di Milano con segnati i vari punti d'interesse.
Il piano si proponeva di organizzare, dislocare ed utilizzare le forze partigiane in funzione dei seguenti obiettivi:
a - ostacolare il ripiegamento dalla città di Milano delle truppe nemiche, apportando loro più perdite possibili;
b - distruggere o almeno immobilizzare le forze nemiche che sarebbero rimaste nella città ;
c - occupare le strutture militari della città e quelle ammnistrative per poterle subito utilizzare ai fini dei patrioti e della popolazione;
d - garantire l'ordine e la sicurezza in città , provvedendo alla eliminazione o al fermo degli elementi nazi-fascisti;
e - occupare e proteggere gli stabilimenti industriali, i grossi complessi commerciali, nonchè proteggere le opere essenziali per il funzionamento dei servizi pubblici.
Coloro che hanno poi scritto la storia della Liberazione di Milano si sono chiesti se tale liberazione sia avvenuta secondo quanto indicato dal Piano insurrezionale o se invece questo abbia avuto una funzione assai limitata. Chi parla bene del Piano è Luigi Longo in ben nove pagine del suo libro "Un popolo alla macchia". Altri hanno scritto che aveva una impostazione troppo tradizionale e militare, dando dettagliate indicazione operative mentre le insurrezioni popolari si sviluppano con una propria dinamica, non pianificabile.
Il prof. Nuvolone sul numero di Archivum del 2005/2006 ha preso in considerazione e messo a confronto le diverse valutazione e ne ha concluso che il Piano ha rappresentato in ogni caso un valido supporto informativo per le forze impegnate nelle liberazione della città , ne ha assicurato una utile dislocazione di partenza e ha promosso il concorso di quelle altre forze militari disponibili alla collaborazione con i partigiani, concorso che è stato fondamentale per assicurare rapidamente l'ordine e la sicurezza e la ripresa dei servizi pubblici.
Quanto alla personalità di Bellocchio ed al suo ruolo nel Comando Piazza, ci è stata trasmessa soprattutto la memoria di una sua diffcoltà a destreggiarsi fra le posizioni politiche degli uomini che lo affiancavano nel Comando di Zona e dei suoi contrasti con il generale Cadorna che era diventato il suo diretto superiore. Raffaele Cadorna nelle sue memorie ha scritto: "Anche nella Piazza di Milano era difficile conoscere la consistenza, la dislocazione e l'armamento delle forze clandestine. Convocammo più di una volta il generale Bellocchio ed il suo commissario politico per i chiarimenti del caso. Il bravo generale dava in escandescenze, incolpava l'anarchia dei partiti e le continue catture dei capi partigiani con conseguenti continue sostituzioni. Ma chi ha lasciato una testimonianza più ampia su Bellocchio è Amerigo Clocchiatti che gli fu a fianco per alcuni mesi come commissario politico.
Nel suo libro di memorie ha scritto:"Il Comando era diretto dal generale Bellocchio, piacentino di Bobbio, un uomo gigantesco, sanguigno, già avanti negli anni. Quante camminate con lui per Milano, quante conversazioni! Bellocchio si sfogava con me contro il generale Cadorna che lo aveva sostituito - diceva - senza meriti speciali, nel Comando Generale del CVL. Gli dovevo raccomandare continuamente di parlare più piano se non volevamo farci beccare, tanto si infiammava. Le due volte che Bellocchio ed io fummo chiamati a rapporto dal Comando generale del CVL, quelle riunioni si trasformarono in una diatriba furiosa fra i due generali. ll posto del generale Bellocchio - continua Clocchiatti - era ambitissimo e tutti facevano pressione su di me, tutti ne avevano uno migliore da mettere. Ma io lo difesi costantemente. Lui era monarchico ma si teneva al disopra di tutti i partiti.
A Milano in particolare c'erano gli uomini del Partito d'Azione e del Partito socialista che rivendicavano un maggior peso negli organismi del movimento partigiano, mentre un comandante come Bellocchio che non s'intrometteva nei rapporti fra i partiti piaceva ai comunisti.
Un altro giudizio significativo su di lui è infatti quello espresso dal predecessore di Clocchiatti nell'incarico di commissario politico a fianco del generale, Italo Busetto, in una relazione in data 30 novembre 1944 di carattere riservato inviata a Longo quale capo delle Brigate Garibaldi e pubblicata in un volume di documenti relativi a quelle brigate. Scriveva Busetto: "Il generale comandante la piazza è figura di ufficiale onesto, corretto, semplice, non troppo uso alle schermaglie dell'attività politica. Non riesce ad assimilare le norme cospirative. (Ad es.) In rapporto con il vicequestore Mancini della polizia fascista, essendosi lasciato aggirare dalle dichiarazioni di antifascismo di costui lo abbiamo messo in guardia.
Posso aggiungere che erano diverse a Milano i funzionari pubblici che tenevano in quei mesi il piede in due scarpe e peraltro va dato atto che quel vicequestore non ha tradito il generale Bellocchio.
Giungiamo cosi ai giorni della Liberazione quando il generale bobbiese incappò nelle vicenda che lo amareggiò molto ed influì sulle sue scelte successive in rapporto al movimento partigiano e alla stesso ambiente militare. Il Comando Piazza negli ultimi tempi teneva le sue riunioni via via in luoghi diversi. A conclusione di una riunione si fissava la data ed il luogo di quella successiva. Un'ultima riunione si tenne il 24 aprile all'aperto in Piazzale Susa, quando il CLN AI non aveva ancora diramato l'ordine d'insurrezione. Secondo quanto ha scritto Bellocchio a quella riunione non potè essere presente perchè colpito da un febbrone; non conosceva pertanto il luogo del successivo incontro del Comando fissato per il giorno dopo in un edificio di via Carlo Poma. Il giorno dopo, 25 aprile, avvenne la mobilitazione generale contro le forze nazifasciste e anche una serie di collegamenti fra reperti e comandi saltarono.
Quando il generale Cadorna raggiunse il Comando di Piazza nel previsto recapito di via Poma non vi trovò Bellocchio e gli si dissero che era irreperibile. Cadorna seduta stante colse l'occasione per rimuoverlo dall'incarico e sostituirlo. Nel Comando era previsto che in caso d'impedimento subentrasse nelle funzioni il vice-comandante vicario. Cadorna nominò invece al posto di Bellocchio il generale Emilio Faldella.
Qualche giorno dopo, a Liberazione avvenuta, si venne a sapere che il Faldella era sì rimasto in disparte dal regime di Salò, rifugiandosi però in Svizzera da cui era tornato a Milano soltanto appena prima della Liberazione. Inoltre aveva partecipato come "volontario" alla guerra civile spagnola a fianco dei franchisti e su quella guerra aveva poi scritto un libro elogiandone la partecipazione dell'Italia fascista. Fu il socialista Sandro Pertini in particolare ad elevare grandi proteste contro la sua nomina alla direzione del Comando Piazza e a chiederne la rimozione.
Si era nei primi giorni di maggio. Il quattro Cadorna aveva ricevuto da Roma la comunicazione che era stato nominato dal Governo Bonomi Capo di S. M. dell'esercito italiano che si andava ricostituendo in tutto il territorio nazionale. Nelle sue memorie riconosce che al Comando Piazza di Milano in quei giorni si profilava una spiacevole situazione in conseguenza della nomina del generale Faldella, ma per rimediarvi decise non di riportare il generale Bellocchio al suo posto ma invece di sciogliere il Comando Piazza. Questo scioglimento sarebbe comunque avvenuto più avanti, ma Cadorna ne anticipò i tempi. Credo che la decisione dello scioglimento sia stata presa o comunque comunicata in una riunione descritta da Agostino Covati, riunione dopo la quale Bellocchio infuriato lasciò subito Milano e tornò a Bobbio in compagnia di Covati stesso e di Italo Londei.
Cadorna invece andò a Roma a ricoprire la carica di capo del nuovo esercito italiano. Nel 1948 diventerà senatore nelle liste della Democrazia Cristiana e sarà rieletto nelle elezioni del 1953.
Il ritorno a Bobbio
Bellocchio resterà invece fino alla morte, nel 1966, a vivere a Bobbio. Riceverà, come ufficiale della riserva, la nomina a Generale di Corpo d’Armata e quindi una buona pensione, ma gli rimarrà l’amarezza del torto subito. Anche Clocchiatti ricorda: “Dopo la guerra andai a trovarlo più volte a Bobbio: era amareggiato e sempre più protestatario contro tutti.” Chi lo aveva conosciuto durante gli anni di servizio nell’esercito italiano lo ricordava come un ufficiale molto comprensivo e disponibile nei confronti dei suoi soldati, dei suoi alpini, ma invece di rapporti difficili con gli altri comandanti. Testimoni affermano che durante la seconda guerra mondiale avrebbe evitato a giovani alpini bobbiesi di essere spediti a morire sul fronte russo, e che anche nel dopoguerra si sarebbe prestato per assicurare a diversi giovani l’esenzione dal servizio militare.
Anche nel dopoguerra rimase di sentimenti monarchici e fu iscritto al Partito nazionale monarchico.
E nella campagna delle elezioni politiche del 1953, molto accesa dato che era stata approvata una legge elettorale maggioritaria, definita dagli oppositori, anche dai monarchici, “legge truffa”, perchè avrebbe assegnato il 65% dei parlamentari alla coalizione di partiti che raggiungesse anche solo il 50% più uno dei voti, Giuseppe Bellocchiò accettò di essere candidato nelle liste di quel partito monarchico, pur non avendo speranza di essere eletto.
Fra i suoi documenti si è conservato il testo del comizio con cui aprì la campagna elettorale a Bobbio e che poi utilizzò come base per i comizi in altri comuni. Un discorso in cui si difendeva dagli attacchi che da parte delle DC e dal settimanale cattolico Piacenza Nuovo gli erano stati rivolti di provocare, con la sua candidatura, una dispersione di voti che sarebbe andata a vantaggio dei social-comunisti, in cui esponeva il programma del partito monarchico e criticava la legge maggioritaria che avrebbe distorto la rappresentanza dei cittadini a favore della DC e dei suoi alleati.
Viene riferito che Bellocchio rimase deluso dal risultato elettorale rispetto alla aspettative, in specifico nel comune di Bobbio. Naturalmente anche qui il voto si era orientato sui grandi partiti in competizione, dalla DC al Pci. Va detto tuttavia che negli anni cinquanta e primi anni sessanta proprio nel comune di Bobbio nelle elezioni politiche nazionali ed in quelle per l’Amministrazione provinciale il partito monarchico conseguiva una discreta percentuale di voti, segno che attorno a Bellocchio si era formata una cerchia di estimatori e di persone che sentivano un debito di riconoscenza nei suoi confronti.
Lui viveva con grande semplicità, facilmente si lasciava trascinare in forti discussione polemiche, partecipava ai raduni degli alpini ma disdegnava in genere i rapporti con gli “alti papaveri”. Non aveva aderito all’Anpi ma anche quando Enrico Mattei,
che Bellocchio aveva conosciuto nel movimento partigiano a Milano, venne a Bobbio per promuovere un’associazione di ex partigiani alternativa all’Anpi, egli non solo non aderì a quella associazione ma tenne un atteggiamento distaccato anche nei confronti di Mattei.
Fra i documenti conservati nel suo fondo archivistico vi è anche una tessera d’iscrizione di Giuseppe Bellocchio alla Massoneria italiana, tessera del 1944. Si sa che negli alti gradi militari era diffusa questa adesione e rifiutarla poteva incidere negativamente nella carriera. Ricordo quella tessera perchè rende credibile una testimonianza che ho raccolto relativamente ad una ultima vicenda con cui il generale Bellocchio avrebbe avuto a che fare.
Un giorno, eravamo all’inizio degli anni sessanta (parlo naturalmente del secolo scorso), Bellocchio confidò ad un amico di essere appena tornato da Roma dove era stato invitato da qualcuno che lo conosceva e dove aveva avuto contatto con un certo ambiente di generali da cui ricevette la proposta di aderire anche lui a quella consorteria che aveva in programma di realizzare una specie di colpo di Stato per impedire che la politica italiana slittasse vero sinistra. “Io ho subito rifiutato - riferì Bellocchio all’amico - di quelle cose non ne voglio nemmeno sentir parlare”.
Orbene, i primi anni sessanta sono quelli della nascita delle prime maggioranze di centrosinistra, dell’ingresso del Psi nel governo. Si sa che nel 1962 per bloccare quel processo era stato predisposto il cosiddetto “Piano Solo” da parte di certi ambienti militari con al centro il generale De Lorenzo, capo del SIFAR, il servizio segreto informativo delle Forze Armate, e poi Comandante Generale dell’Arma dei carabinieri, iscritto ad un logga massonica composta in particolare da militari. Il Piano non fu attuato anche perchè, si disse - il PSI di Nenni moderò le sue richieste programmatiche. Venuta alla luce quella vicenda, De Lorenzo dovette abbandonare i suoi incarichi nelle Forze Armate ma fu eletto deputato nel 1968 per il partito monarchico e nel 1971 per il MSI.
Il generale Bellocchio era dunque si monarchico, si critico della vita politica italiana del dopoguerra, ma fedele ai valori di libertà e democrazia per le quali aveva rischiato la vita assieme ai partigiani che avevano idee politiche anche molto diverse dalle sue. E’ anche per l’adesione di una personalità come la sua, di un generale, di un moderato, di un monarchico, che la Resistenza e la lotta di Liberazione hanno avuto in Italia quel carattere di pluralismo unitario e di afflato morale per cui la stragrande maggioranza del Paese vi si è potuta riconoscere e il 25 aprile 1945 ha potuto aprire un capitolo nuovo nella storia del nostro Paese.
Ma a che serve oggi ricordare tutto questo?
Come Anpi ricordiamo tutto questo anche per sottolineare ad esempio che di fronte ad un problema nemmeno paragonabile alla gravità della situazione che le popolazione dell’Italia e dell’Europa si trovarono da vivere e da affrontare fra il 1939 ed il 1945 - il problema odierno dei profughi e dell’immigrazione di massa dall’Africa vero l’Europa - avremmo bisogno in Italia ed in Europa di almeno un pò di quella unità e responsabilità che forze politiche e uomini di idee molto diverse seppero mettere in campo in quel tempo difficile.
Bobbio 9.07.2017 ROMANO REPETTI
Immagini del Gen. Bellocchio in diverse occasioni.
Generale G. Bellocchio al centro della foto
Comune di Bobbio
Fondo archivistico Gen. Giuseppe Bellocchio
Contenuto nella cassa militare d'ordinanza del generale composta da due ampi cassetti e chiusa
da due piccoli lucchetti e (solo fotografie) in una cassa d'ordinanza più piccola con serratura.
(Il fondo delle casse fu coperto da fogli di giornali pubblicati nel 1962)
Il materiale è stato riordinato in BUSTE (raccoglitori) e se del caso in cartelle e bustine inserite nelle BUSTE e numerate in sottordine a queste.
(Nel cassetto superiore della cassa grande)
Busta n. 1 - Documenti personali del generale.
1.1
-Regno d'Italia - Passaporto per l'estero, emesso il 14.6.1928, rilasciato per l'Albania il 14.6.1928, esteso il 6.10.1928 per la Jugoslavia e nel 1929 anche per altri paesi europei (Vi è segnato l'ingresso in Albania il 16.6.1928 e poi ancora nel 1929, 1930, 1931; nel 1930 è segnato un ingresso in Cecoslovacchia).
Sono inserite nella custodia del passaporto: tessera d'iscrizione 1928 all'Istituto del Nastro Azzurro, tessera 1933 all'Associazione Nazionale Combattenti quale Colonnello nel 5° Reggimento Alpini e all'Associazione N.le Granatieri di Sardegna nel 1956 quale Generale di Divisione, della riserva; tessera Touring Club 1936, Tessera Opera Nazionale Dopolavoro 1938, nonchè due piccole foto.
- Tessera d'iscrizione alla Massoneria emessa il 15.10.1944: A.U.T.O.S.A.G. - Supremo Consiglio del 33° ed ultimo Grado del Rito scozzese antico per l'Italia, con il grado Gr.Isp. Genâ.
- Tessera d'iscrizione al Partito Democratico Italiano (monarchico) in data 1959-60, quale iscritto dal 1953.
- Tessera Corpo Volontari della Libertà rilasciata in data 5.5.1945 da Comando Piazza di Milano.
- Documenti di altre persone (fra cui un Comaschi Giuseppe - Nome partigiano del Generale ).
1.2
- Patente di Abilitazione 1° Grado alla Guida rilasciata nel 1926.
Nel contenitore in pelle, con sovraimpresso 11° Regg. Fanteria Casale, sono contenute 11 cartoline con immagini dei Capi di Stato Maggiore e, in una busta, due lettere al generale, in data 29.4.1946 e 24.6.1946, della vedova di un caduto della lotta di Liberazione, Lina Caprio ved. Di Vona.
- Portafoglio con foglietti annotati.
1.3
- Contratti di locazione ed inventari relativi a beni personali del generale o dei famigliari
Busta n. 2 - Decumenti relativi al decesso del generale
2.1
- Registro della Veglia funebre relativo al decesso del generale, con inseriti il Manifesto funebre con data 10 marzo 1966 e le Condoglianze dell'ex re d'Italia Umberto II tramite il suo segretario Lucifero.
2.2
- Telegrammi e biglietti di condoglianze, fra cui telegramma dell'ex comandante partigiano e giornalista Italo Pietra
Busta n. 3 - Documenti relativi all'attività partigiana del generale, alle pratiche per il riconoscimento del servizio militare e della pensione - Corrispondenza - Relazione/comizio del generale in occasione delle elezioni politiche del 1953.
3.1
- Ministero Assistenza post bellica e Comitato Liberazione Nazionale: documenti relativi al riconscimento partigiano (dal 28.9.143, anni 1, mesi 6, giorni 28): al Comando Generale del CVL fino al 18 agosto e poi Comandante della piazza di Milano. Riconoscimento delle campagne di guerra 1940-45, ecc.
3.2
- Testo di conferenza/comizio del gen. Bellocchio in occasione della campagna elettorale delle elezioni politiche del1953 nella quale era candidato nelle liste del P.N.M.
3.3
- Copia a mano del Decreto Ministero della Difesa relativo alla pensione del generale e annotazione dello stesso riguardanti la proprietà di titoli del Tesoro.
- Corrispondenza personale (in particolare con autorità militari e relativamente alla rivalutazione della propria pensione).
- Autorizzazione dell'Istituto del Nastro azzurro a fregiarsi del nastro relativo.
- Conferimento del titolo di Cavaliere della Corona d'Italia al maggiore del Genio Elleno Setti.
- Copia del Decreto legislativo 137/1948 relativo alla concessione di benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale.
- Relazioni e Stato di servizio per la pratica di pensione.
3.4
- CLN AI, CVL - Comando Piazza di Milano: Proposta per la concessione di Medaglia d'Argento al V.M. al tenente colonnello Carlo Maraschi (Relazione a firma del Generale di Divisione già comandante della Piazza clandestina di Milano Giuseppe Bellocchio in data 9. 4.1947 (pag. 8 più 6 , di cui 5 di bozze e annotazioni scritte a mano).
- Certificati del Comune di Bobbio relativi alla nascita di fratelli e sorelle di Giuseppe Bellocchio. Due biglietti di partecipazione alle nozze dei genitori, Domenico Bellocchio e Costanza Bionda, nozze fissate per l'8.4.1875.
- Documenti relativi alla liquidazione ed all'aggiornamento della pensione e al Decreto Ministero della Difesa con il quale, 24.7.1951, considerato che G. Bellocchio fu collocato nella riserva dall'1.7.1944, essendogli poi stati riconosciute le campagne di guerra 1940.45, si liquidano compensi a partire dall'1.7.44 fino al 31.10 1948.
Busta n. 4 -documenti relativi ad una esercitazione militare del 1941.
- Fascicolo intestato a COMANDO TRUPPE DEPOSITO - 18° Regg.to Fanteria Acqui - Campo d'Arma 1941 - XIX (di pag 12)
- Relazione sull'addestramento delle truppe al Campo d'Arma (a firma del Colonnello Comandante Gaetano Ferretti). Con allegato:
- Album fotografico di 9 fogli e 37 foto.
- Cartella contenente Comunicazioni di pag. 2 e n. 17 fogli di Schizzi, un dipinto ad olio su legno di cm 20 X 30, più due foto. (La Comunicazione, in data 29.8.1940, porta fra l'altro la firma del Colonnello Giuseppe Bellocchio).
Busta n. 5
Atlante tedesco, edito nel 1910 a GOTHA: Methodischer Schul-Atlas
Busta n. 6 - Materiale didattico per la formazione militare degli ufficiali di stato maggiore alla Scuola di Guerra:
- Piante e schizzi, con ampie annotazioni a mano di G. Bellocchio, sulla dislocazione e la dinamica delle contrapposte forze militari in campo; dispense, opuscoli e relazioni di storia militare a stampa e a mano; elenchi delle forze in campo; il tutto relativo ad importanti battaglie da quelle napoleoniche a quella mondiale 1914-1918 (Su una dispensa edita nel 1920 è indicato "Corsi d'integrazione 1920-21; un opuscolo risulta edito nel 1922)".
Busta n. 7 - Materiali didattici utilizzati alla Scuola di Guerra
- Scuola di guerra 1920-1921 - "Sunti di Logistica e Servizio di S.M."
- Dispense, opuscoli più vaste sintesi ed appunti scritti a mano da G. Bellocchio.
Busta n. 8 - Materiali didattici alla Scuola di Guerra
- Scuola di Guerra - Corso d'Integrazione 1921-1922 - Materiale didattico: "Manovre coi quadri e viaggio d'istruzione" , ecc.
Busta n. 9 - Volume di storia militare
La guerra mondiale - Campagna del 1914 (Volume dattiloscritto e a stampa).
Busta n. 10 (foglio arrotolato)
Manifesto con elenco ed immagini dei caduti e di tutti i militari del comune di Bobbio partecipanti alla Prima guerra mondiale: "Comune di Bobbio - Gruppo d'onore degli eroi caduti e dei reduci".
(Nel cassetto inferiore della cassa grande)
Oggetti appartenuti al generale Giuseppe Belloccio
Due giacche militari banche.
Dieci sacchi/sacchetti in canapa o cotone.
Fascia elastica (pancera).
Spadino.
Scudiscio per cavallo.
Cappello d'alpino di generale di Brigata.
Quattro spalline militari dorate.
Due spalline militari.
In contenitore, piumino per cappello da cerimonia.
Cordoncino per divisa e altre decorazione per divisa.
Bretelle.
Portamonete.
Contenitore tondo metallico con varie spille.
(Nel cassa d'ordinanza piccola)
Foto varie, del generale Bellocchio e dei suoi famigliari e parenti (in particolare della famiglia americana della sorella Ida); foto di ambiente militare e di gruppi di ufficiali.
(Tutte le foto sono state riprodotte e possono essere rese disponibili in formato elettronico).
Tapum canto alpino